SIMPOSI E ALTRE MANIFESTAZIONI 2012

Simposio di scultura. Livemmo, 12-15 luglio 2012

Simposio di scultura. Livemmo, 12-15 luglio 2012

02/07/2012

SIMPOSIO ARTISTICO
DELLA
BOTTEGA DI SCULTURA DI PERTICA BASSA
A LIVEMMO,
DAL 12 AL 15 LUGLIO 2012


La Bottega di Scultura di Pertica Bassa, con ben nove suoi artisti, sarà presente a Pertica Alta, nella frazione di Livemmo, dal 12 al 15 luglio 2012.
L'intento è quello di far rivivere, attraverso la scultura lignea, in piazza, le antiche tradizioni locali, che partono dal lontano 1002, con le Bonefemine di Fusio (località sempre della Pertica) e si snodano nel tempo, tra varie vicissitudini, conquiste, lotte, carestie, guerre, miracoli, vita contadina e feste.
Una di queste è proprio quella del Carnevale di Livemmo, tesa, appunto, ad alleviare, con lo scherno e il lazzo, la dura vita dei montanari.

 

Il Carnevale di Livemmo.

 

Il Carnevale di Livemmo, con le sue caratteristiche maschere, non è di antichissima origine come manifestazione. Antica ne è la sintesi culturale che ne scaturisce, frutto di secoli di dominazioni, in comunità con diverse stratificazioni sociali, in situazioni di economia strettamente agro-silvo-pastorale, con scarsa dedizione all'artigianato.

Le maschere, fondamentalmente tre (ma semplicistica ne è tale riduzione), portano in campo, anzi in piazza, la ribellione ad uno "status" generazionale, a classi sociali rese chiuse, forse non istituzionalmente, ma da una endemica povertà e conseguente incapacità situazionale a risollevarsi, a condizioni servili umili - quale quella femminile - e di sottomissione totale.
Tale ultima situazione è rappresentata dalla "vècia del val", dalla vecchia con il cesto per il setaccio delle graminacee. A parte la presenza di uno strumento contadino di specifico uso femminile, la donna, attempata, quasi la "massèra", porta, comodamente seduto nel detto cesto, il suo "òmen", il suo uomo.
Si stabilisce tra i due la tesi e l'antitesi, inconciliabili nei diversi presupposti di vita, di lavoro, di scelte, ma forse perversamente complementari nelle imposte tradizioni.
L'uomo privilegiato, la donna asservita; l'uno dedito alla vita sociale di ritrovo, l'altra rifugiata tra le pareti domestiche; il primo gestore del proprio patrimonio sia umano che pecuniario, la seconda dedita ai lavori dei campi, quelli più noiosi e trascurati dal maschio.
E la enumerazione, proprio perché storia comune di secoli, potrebbe continuare.
Da qui alla "ribellione" nei giorni carnevaleschi il passo è breve; poi si rientrava nel silenzio, nel quasi tutto prestabilito e pattuito, come succede e succedeva in comunità ad economia chiusa, curtense (e non).
Questa protesta è gestita dall'uomo, che si traveste da donna, che riconosce la contradditorietà del tutto, che pone all'attenzione il problema e lo visualizza con immediata e popolaresca resa.
Come in molti carnevali antichi, ad esempio quelli di Bagolino , di Schignano, ecc., la donna non può far parte del gruppo: è relegata in ambiti di preparazione dei materiali, di aiuto per i trucchi, di scelta degli addobbi e ornamenti di tipo femminile.
Anche questa regola del gioco la dice tutta sulla protesta femminile della "vècia del val" livemmese.
La maschera è costituita da una persona e da un fantoccio.
Lo spettatore, dato il particolare e ingegnoso sistema di composizione e di movimenti, ravvisa le due persone, rimanendo nel dubbio se quelle siano veramente due o una sola; e nel caso della sola entità, quale quella dal volto vero!
Anche questa "amleticità" è una componente che riappare nelle altre due maschere, una delle quali, il gigante dal doppio volto e dalle scarpe ("sgalber")doppie, uguali sia davanti che dietro, evidenzia con il prorompente dinamismo del suo dinoccolato incedere, la contraddizione che è in ognuno.
E' chiamato, appunto, il "doppio", ambiguo e uniforme, coperto da un lungo, nero mantello che ne protegge la sua autentica natura, il suo essere veritiero, il suo tronco e le sue braccia, dalle quali si riuscirebbe a capire e a individuarne il suo vero volto.
La terza maschera, detta l'"omashì dal zérlo" (l'uomo dal gerlo), è di pretta origine contadina:
Anche qui uomo e fantoccio si compenetrano fino all'indecifrabilità, ponendo all'attenzione degli spettatori sempre due figure d'uomo: Quale la falsa? O vere entrambe?
Un contadino trasporta nel gerlo un altro contadino. Si è usato il termine contadino, nel definire i due, ma è opportuno porre delle distinzioni.
Nelle antiche comunità agricole della montagna valsabbina, quali quelle delle Pertiche, contadino è chi lavora la terra per produrre, in genere, poche graminacee per uso familiare e discreta quantità di fieno che poi venderà al contadino che possiede la mandria - detto più propriamente mandriano o "malghés" -, in genere impossibilitato, causa l'accudire quotidianamente alle stesse bestie, a produrre sufficienti quantità di foraggio.
A secondo che l'annata è abbondante o meno di fieno, e di conseguenza anche il prezzo dello stesso oscilla, l'uno sente di prevalere sull'altro.
La meteorologia, artefice della maggior o minor quantità di foraggio, determina anche la sudditanza tra i due, sudditanza senz'altro psicologica, ma anche reale, condita di acerbi lazzi, di ben visibili risolini, di protervi sogghigni di commiserazione. L'uno, altero e autosufficiente nella passata stagione, deve piegarsi all'altro, inorgoglito dalla presente fortuna e quasi autorizzato dalla paziente attesa della rivalsa.
Naturalmente, nella carnevalesca finzione, il perdente annuale "trasporta" nella "gerla" il temporaneo vincitore.
E vinti e vincitori si alternano, come le variabili stagioni, come le altalenanti vicende della vita, nella sottesa ironia di un carnevale burlone.
Accanto a queste tre maschere - date come fondamentali - pullulano una serie di personaggi della vita quotidiana, ciarliera e bigotta: la vecchia e il vecchio in chiacchierato e rinnovato amore, il contadino nei tradizionali abiti di grezzo fustagno, le vicende notturne di persone che pongono all'attenzione la vivace quotidianità arricchita di sotterfugi, gabbature, rivalse.
Presenza non meno scontata quella del diavolo, tutto rosso, cornuto e munito di forca. A parte le leggende locali che ne dichiaravano la sua nascosta presenza nei balli licenziosi, travestito da prestante giovanotto con i piedi caprini, accompagnato da avvenenti fanciulle, risulta essere il contraltare alla vita di ogni giorno, vita intrecciata di crudi risvolti lavorativi e di inesauribili espedienti per campare la giornata.
E così il carnevale, con tutto il suo gruppo di "comedie humaine", si snodava, a suon di zufoli e di fisarmonica, di via in via, di piazzetta in piazzetta, raccogliendo, dopo il ballo, nella momentanea frenesia, quanto la gente poteva offrire in termini di beni immediatamente fruibili: vino, formaggio, salame, denaro.
Il tutto doveva servire ad alimentare la grande cena di carnevale, una volta svestiti dalle maschere di rappresentazione, la sera, tutti in ebbrezza sfrenata e, naturalmente, tutti maschi.
(Giuseppe Biati)

 



Versione Stampabile
GALLERY
©Associazione sportiva dilettantistica Pertica Bassa - PI 02401700980 - Privacy Policy - Cookie Policy | progetto grafico Ideattiva Siti web Brescia - Cms Evolution